Amarone della Valpolicella: che non diventi una (lussuosa) commodity
Come sarà l'Amarone della Valpolicella 2012? In questa vendemmia sono stati raccolti 800 mila quintali, 300 mila dei quali sono già nei fruttai, destinati a dare vini Amarone (tanto) e Recioto (poco). Ovviamente, per avere il dato del Valpolicella Ripasso 2012 basterà moltiplicare per due il volume di vino ottenuto dalle vinacce dei suddetti. Eppure non basta. O meglio, c'è chi dice che non basta. C'è chi dice che il mondo ha sete di Amarone, e quindi bisogna produrne di più. E piuttosto che da qualche parte comincino a bere Zinfandel appassito - l'appassimento è una tecnica miracolosa, livella le uve: e se uno non conosce l'Amarone della Valpolicella autentico, difficilmente si accorge della differenza - è meglio che bevano Amarone. "L'Amarone non deve restare un vino per pochi".
E perchè no? Dov'è scritto che un vino così complesso e costoso da produrre debba diventare una commodity? Dove (a parte che sui conti correnti delle aziende)? E' come se dicessi: siccome mi piace la Ferrari, ma costa un botto e una cifra (e mai potrò permettermela), perché deve restare un'auto per pochi? Perché non la popolarizzano, aumentandone la produzione (e abbassandone il prezzo)?
Perché quest'auto è, e deve restare (tra l'altro), un simbolo del made in Italy. Ebbene, anche l'Amarone della Valpolicella è un vino unico, nonostante s'ingegnino in mille modi a copiarlo/imitarlo/falsificarlo.
"Il vero Amarone, quello con gradazione adeguata, quello con caratteristiche di tipicità esclusive, quello del quale si cerca un'annata piuttosto che un'altra, quello che merita un prezzo proporzionato, è giusto che sia ricercato" dichiara per contro un produttore della Valpolicella storica.
Due filosofie a confronto: legittime entrambe, se non fosse che la prima appare facilmente attaccabile sul fronte della qualità delle uve, sul livello della quale si potrebbe discutere molto. Aumentare la produzione di Amarone infatti comporterebbe un ampliamento della superficie vitata o, in alternativa, dei quantitativi di uve da destinare all'appassimento. Il disciplinare ammette che possa essere posto nei fruttai fino al 65% del raccolto, anche se negli ultimi anni il Consorzio ha deciso di fermarsi al 50%. Il che, a ben guardare, è sempre tanto, troppo per un vino che vorrebbe apparire agli occhi del mondo "raro e caro". Ma non va dimenticato che, più dell'Amarone, è il Ripasso il cavallo da tiro della denominazione, i quantitativi del quale sono legati a filo doppio a quelli del fratello maggiore: lecito supporre che le sorti di questo vino sui mercati stiano a cuore ai produttori come e forse più di quelle dello stesso Amarone della Valpolicella.
E gli altri vini? E il Valpolicella d'annata? Sono sempre di meno le aziende che lo producono. Perchè farlo bene costa, "e a certi prezzi nessuno te lo compra", dicono. Forse perché non lo conoscono. Forse perché hanno ancora in mente certi Valpolicella insulsi e anonimi, fatti con quel poco che rimane dalla raccolta dei grappoli da mettere in fruttaio.
Ma, cari tutti, la terra dei grandi rossi veronesi si chiama Valpolicella. Non Amaronia o Ripassa. Trascurare il vino che porta il suo nome è, semplicemente, da stupidi. E se tanti produttori si ostinano in comportamenti stupidi, tocca al mercato - a noi consumatori - dargli qualche lezione (dopotutto, il vino lo fanno per venderlo a noi).
Per l'Amarone, cominciamo, almeno noi italiani (sull'estero il lavoro di acculturazione è sempre più lungo e complesso) a disdegnare l'ultima annata in commercio e a ricercarne di più vecchie. Oppure a comprarla e a dimenticarla in cantina.
Per il Valpolicella d'annata, impariamo a conoscerlo. Terroir Amarone ricomincerà le sue serate partendo da qui (23 ottobre 2012, alla Trattoria Dalla Rosa di San Giorgio di Valpolicella).
Dalla (dimenticata) base.